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La mostra ha come punto di partenza l'opera "The Balad of Sexual Dependency" dell'iconica Nan Goldin, un immaginario visivo che dà conto della vita, un diario pubblico che mostra lo spessore delle relazioni e dei legami attraverso i quali la vita passa e viene contemporaneamente vissuta.

Al contrario delle idee stereotipate di privacy, identità o visibilità, l'intimità qui fa appello più a che fare con le forme dell'esperienza e le sfide della narrazione, con l'incompiuto e il molteplice, con ciò che è all'inizio di ogni negoziazione e non può essere ridotto alla legge.